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Il LC Cuneo discute dell’attualità del sistema educativo di Don Bosco

Il LC Cuneo discute dell’attualità del sistema educativo di Don Bosco

Il quarto meeting del corrente anno lionistico, svoltosi lunedì 4 novembre 2019, è stato coronato da un apprezzato intervento di don Mauro Mergola, in merito ad una tematica particolarmente importante, relativa alla formazione e al coinvolgimento operativo dei giovani. L’attualità del sistema educativo di don Bosco è il titolo dell’argomento, che è stato affrontato con dovizia di particolari, di argomentazioni e di esemplificazioni, nonché supportato da preziose riflessioni.
Don Mauro, sacerdote salesiano e, dallo scorso 28 settembre parroco della chiesa “San Giovanni Bosco” di Cuneo, ha svolto tutta la sua precedente missione pastorale presso la diocesi di Torino e, negli ultimi dieci anni, nel quartiere di San Salvario. Un territorio, quest’ultimo, di 45/50 mila abitanti, in cui la realtà multietnica e multiculturale è piuttosto accentuata, con problemi di integrazione e socializzazione non indifferenti. Un contesto, dunque, dove l’applicazione dei principi educativi di San Giovanni Bosco risulta particolarmente necessaria e foriera di buoni risultati.      
La relazione, incisiva e avvincente, ha messo a tema il retroterra esperienziale che promosse, accanto ad una nativa e spirituale attitudine, la vocazione educativa del fondatore dei Salesiani. Si trattava della realtà carceraria torinese, là dove don Bosco avviò un autentico apostolato, alimentato da una vera compassione per i giovani qui detenuti. Fu quella la circostanza che ispirò in lui il bisogno di intervenire  a favore della “gioventù pericolante”, che oggi chiamiamo “gioventù a rischio”. Bisogno che si concretò a partire dall’8 dicembre 1841, allorché il neo-sacerdote iniziò a radunare piccoli gruppi di ragazzi abbandonati per l’istruzione religiosa domenicale, prologo, questo, di una successiva e intensa attività educativa.
Il relatore don Mauro si è poi soffermato sul metodo preventivo adottato e continuamente praticato, più che teorizzato, dall’Educatore piemontese. Dopo aver sottolineato i cardini della pedagogia preventiva, ha illustrato gli ingredienti operativi che alimentavano la strada maestra del rapporto educativo, incentrato sulla prevenzione e giammai sulla repressione. Un rapporto in cui il dialogo, la relazione umana e il reciproco rispetto costituivano il contesto affettivo, etico e sociale per favorire la promozione integrale della personalità, alla cui maturazione contribuiscono, secondo le avvertenze boschiane, lo studio, il gioco e il lavoro, senza dimenticare lo sport, il teatro e altre attività educativamente rilevanti. Il tutto per formare onesti cittadini e buoni cristiani.
L’intervento si è quindi focalizzato sull’attualità di don Bosco in merito al rapporto con i giovani e alla loro formazione. “Don Bosco è attuale – ha precisato il relatore – perché i giovani sono sempre attuali. Chi sta con i giovani, come diceva papa Giovanni Paolo II, rimane giovane e attuale. Però, stare con i giovani vuol dire condividere il loro cammino, i loro processi di crescita e sentire le loro domande, senza pensarsi superiori. Questa è la sfida grande che noi abbiamo oggi”. A questo punto, ha richiamato la sua esperienza in San Salvario, là dove l’introduzione e la traduzione operativa di due progetti innovativi, quali l’housing sociale e la movida spirituale, con la chiesa dei Santi Pietro e Paolo in largo Saluzzo aperta tutti i sabati fino alle 2 /2.30 di notte, ha sortito, a seguito di non poche difficoltà iniziali, risultati davvero positivi. “Se la movida – ha evidenziato – ha qualcosa da insegnare a noi adulti è il desiderio di riscoprire il contatto tra le persone”.
È sempre importante, oggi come un tempo – e subentra qui il secondo punto della citata attualità – accordare il dovuto spazio all’educazione che, nella sua intrinseca tessitura pedagogica, è cosa ben diversa dalla semplice informazione da cui siamo a volte sommersi. “Il giovane – ha ricordato – non è un sacco vuoto da riempire, ma è un cuore da infiammare”. Cosa, questa, che dobbiamo attentamente considerare per gestire efficacemente il nostro dialogo educativo con le giovani generazioni, senza di che potrebbe aprirsi una frattura difficilmente colmabile.
Molto attuali risultano, inoltre, le avvertenze di don Bosco circa il percorso da attivare in ordine all’educazionemorale dei giovani. Di qui il terzo, quindi il quarto punto della sua attualità. Si tratta di un itinerario formativo, ad un tempo, delicato e fondamentale, perché, nonostante l’apparente corazza di superficialità e di edonismo comportamentale, essi sono alla ricerca di valori, che occorre intercettare, esplicitare e apprezzare, con l’ausilio di adeguati interventi, tra cui emerge l’esercizio della socializzazione comunitaria. “Per far crescere un giovane, bisogna essere comunità”, ha ricordato don Mauro, riallacciandosi al pensiero di don Bosco, quando parlava di casa, di famiglia, di comunità e sosteneva la necessità, per i giovani,  di essere accompagnati per condividere il loro progetto di crescita. Si tratta di una ricchezza, ha sostenuto il relatore, che oggi rischiamo di smarrire, a fronte di progetti educativi talvolta contrastanti, con il rischio di favorire lo scivolamento verso derive pericolose, di cui lo “sballo” costituisce un’esca funesta e perniciosa.
Ha infine sottolineato, delineando così il quinto punto della più volte citata attualità, che, in ottemperanza all’insegnamento boschiano, è necessario apprezzare la capacità profetica dei giovani. Capacità che anche oggi, da più parti, essi sanno dimostrare con intuizioni, sollecitazioni e manifestazioni volte a reclamare significative innovazioni per la predisposizione di un mondo più equo, più solidale e più rispettoso delle dinamiche ecologiche. Il tutto nell’esercizio di una convivenza civile e democratica e nella prassi di uno sviluppo sostenibile.
Dopo aver richiamato le parole del Santo Padre in conclusione della XXXIV Giornata mondiale della gioventù di Panamà, “Cari giovani, non siete il futuro, siete il presente, l’adesso di Dio!”, don Mauro ha concluso il suo intervento, come faceva don Bosco, con questo messaggio: “Alla fine della vita ciascuno di noi raccoglie i frutti di quelle opere di bene che ha seminato nell’arco del tempo che gli è stato dato”.
Personalmente, ho avuto modo di riflettere sulla prassi, sulla vocazione e sulle posizioni educative di don Bosco anni fa, allorché stavo approfondendo, a livello esegetico, il pensiero del filosofo francese Jacques Maritain. La sua definizione di persona umana, formulata nell’opera L’educazione al bivio, mi portò, per associazioni di idee e per collegamenti trasversali, ad operare un’attenta analisi della metodologia preventiva di impianto boschiano. “L’uomo – secondo il pensatore francese – non esiste soltanto come un essere fisico; c’è in lui un’esistenza più nobile e più ricca: la sovraesistenza spirituale propria della conoscenza e dell’amore. Egli è così, in un certo senso, un tutto, e non soltanto una parte; è un universo a se stesso, un microcosmo, in cui il grande universo intero può essere racchiuso mediante la conoscenza. E mediante l’amore egli può donarsi liberamente ad esseri che sono per lui degli altri se stesso”. Mette conto di sottolineare, a margine della presente definizione, il valore profondo accreditato alla persona umana dal pensatore d’Oltralpe, valore che implica la necessità di rispettare, comunque e dovunque, ogni individuo nella sua irriducibile identità e sacralità. L’educazione è dunque funzionale alla formazione integrale e armonica del soggetto; è un’arte al servizio della natura umana, per renderla più libera e aperta alla speranza.
Ora, al di là della ben nota valenza teoretica propria della speculazione e dell’elaborazione dottrinale di Maritain, assolutamente non presenti in don Bosco, poco incline alla teoria e vocato essenzialmente all’esercizio militante dell’educazione, sussistono delle tangenze, certa-mente sul piano religioso, ma anche su alcuni snodi cruciali del processo educativo, tra cui emergono l’insistenza sulla promozione integrale della persona, il ruolo maieutico e, per certi versi catartico, attribuito all’amore, la funzione strategica del sapere e la concezione antro-pologica secondo cui in ogni uomo sussiste un nucleo di bontà che bisogna scoprire, valo-rizzare e attivare.
Nel secolo delle idealità romantiche, prima, e dello scientismo positivista, poi, l’educa-tore piemontese, che viveva con gli occhi al cielo, ma con i piedi per terra, ha offerto un concreto e prezioso esempio di prassi pedagogica fondata sulla verità, sull’autenticità, sulla centralità dell’educando e sulla fede confortata dall’intelletto. Secondo lui, infatti, senza far leva sulla ragione non si può educare; nello stesso tempo, è difficile educare senza religione, impossibile senza l’amore.
Maxima debetur puero reverentia (al fanciullo si deve il massimo rispetto): è una sentenza latina, che ripete un verso di Giovenale, senz’altro utile per caratterizzare la concezio-ne pedagogica e la pratica educativa di don Bosco, secondo il quale occorre bandire ogni forma di imposizione, di autoritarismo e di “metodologia direttiva”. Al contrario, bisogna predisporre le condizioni atte a stimolare la sensibilità, gli interessi e il desiderio di fare e di apprendere degli alunni, sorretti dall’esempio e dall’amorevole guida dell’educatore.
“Non volere che il giovane faccia, ma fare che il giovane voglia”: è uno slogan dimensionato sulla figura retorica del chiasmo, dunque particolarmente efficace, utilizzato da don Bosco per esprimere la sua deferenza nei confronti degli educandi e caratterizzare il suo credo pedagogico.
Dal secolo diciannovesimo ad oggi, molta acqua è passata sotto i ponti delle dottrine pedagogiche, delle metodologie didattiche e delle istituzioni scolastiche, ma il carisma educativo del fondatore dei Salesiani continua ad essere attuale. Attuale e degno di attenta considerazione.

Michele Girardo