DISTRETTO LIONS 108 Ia3

LC CUNEO – Una lunga esperienza come “servitore dello Stato” – RELATORE: PROCURATORE DOTT. GIAN CARLO CASELLI

LC CUNEO – Una lunga esperienza come “servitore dello Stato” – RELATORE: PROCURATORE DOTT. GIAN CARLO CASELLI

UNDICESIMO MEETING DEL LIONS CLUB CUNEO

Una lunga esperienza come “servitore dello Stato”

RELATORE: PROCURATORE DOTT. GIAN CARLO CASELLI

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Piacevole e scherzoso l’incipit che il Procuratore Gian Franco Caselli ha accordato alla propria conferenza tenuta presso l’hotel La Ruota di Pianfei, in occasione dell’undicesimo meeting del LIONS CLUB CUNEO.

Il Relatore, infatti, dopo aver richiamato il contesto tragico che ha connotato molti anni della sua esperienza di magistrato, ha inteso avviare l’esposizione sulla base di un registro divertente, ricordando la sua fede calcistica per i colori del Torino e la sua passionalità di tifoso, tanto che, come lui stesso ha detto, “nessuno mi crede quando racconto che il massimo delle mie intemperanze allo stadio sarebbe gridare «arbitro perverso»”.

Il discorso è quindi transitato su fatti, momenti e dinamiche dei così detti “anni di piombo”, quando lo stragismo rosso e nero e gli assassinii perpetrati dalla criminalità organizzata insanguinarono l’Italia da Nord a Sud. Proprio a partire da quella stagione, precisamente dal 1974, il Procuratore vive sotto scorta, in quanto, come protagonista della lotta al terrorismo rosso prima e alla mafia poi, si è trovato nel mirino di gravi intimidazioni.

“La scorta ti può salvare la vita – sono le parole di Caselli, che traggo testualmente dal suo ultimo libro, Nient’altro che la verità, più volte richiamato nel corso della conferenza –. A me l’ha salvata diverse volte. Infinita è la mia gratitudine. Ma mentre te la salva […] te la cambia e condiziona. Profondamente. […] Inevitabilmente la scorta incide anche sulla vita della famiglia. I miei figli Paolo e Stefano sono cresciuti in mezzo ai mitra. Una situazione da trincea, da filo spinato”.

Il Relatore, dopo aver richiamato due dossier su di lui, messi a punto dalle Brigate rosse e da Prima Linea per colpirlo (“inchieste”, secondo il linguaggio dei terroristi, denominate, rispettivamente, ‘Casella postale’ e ‘Operazione autostrada’), ha parlato del suo trasferimento a Palermo, da lui stesso richiesto, dove divenne procuratore nel gennaio 1993, guidando, per quasi sette anni, l’ufficio giudiziario che era, a quell’epoca, il più esposto d’Italia. Nel capoluogo siciliano, la scorta, per meglio proteggerlo, era molto rigida, al punto che fuori dall’ufficio, di fatto, era “libero solo di… respirare”. Qui abitava alla sommità di un palazzone di otto piani, di cui i primi sette vuoti, per ragioni di sicurezza. Sul pianerottolo del vano, non c’erano tendine alle finestre o vasi di fiori, bensì “filo spinato, sacchetti di sabbia e un soldato in tuta mimetica con elmetto, giubbotto antiproiettile e mitra con pallottola in canna. Ventiquattro ore su ventiquattro”.

In merito alla sua vita blindata nella residenza palermitana, il dott. Caselli ha illustrato, con toni volutamente scherzosi, per far risaltare “in controluce” i dinamismi di quella dura realtà, un suo spostamento a Corleone (allora feudo incontrastato della mafia!) per parlare a una comunità di ragazzi. L’invito gli era stato rivolto da un Francescano, amico di don Ciotti. Non si poteva dire di no, sia per la valenza dell’iniziativa, sia per l’amicizia che legava il Procuratore al fondatore del Gruppo Abele. Di qui la richiesta alla scorta di organizzare lo spostamento, richiesta rigettata con un fermo diniego. A seguito di altre insistenze, puntualmente respinte, la scorta finì per arrendersi e, alle sue ferree condizioni, predispose e realizzò il viaggio sulla base di accorgimenti eccezionali e inediti, con momenti in cui al Magistrato veniva riservato un trattamento che si usa con una persona sequestrata. Il tutto, ovviamente, per garantire il massimo di sicurezza. Nella prosecuzione del suo intervento, il Relatore ha esposto le vicende legate al sequestro del dirigente della Fiat Ettore Amerio, alla sua prigionia e alla sua liberazione, con l’episodio dell’interrogatorio, in cui, lui, allora giudice istruttore, indossò incautamente un dolcevita rosso acceso. Una sventatezza che ha definito inopportuna, perché Amerio era appena stato scarcerato dalle Brigate Rosse, dopo otto giorni trascorsi in una “prigione del popolo”, in cui il colore vermiglio dei drappi con stella a cinque punte lo circondavano impietosamente.

Ha poi illustrato la vicenda legata al rapimento e all’uccisione di Mario Sossi. In particolare, ha richiamato le disumane condizioni detentive del giudice in una cella, scoperta nel 1974 a Sarezzano, in provincia di Alessandria. Si trattava di un “cubo” minuscolo, di un metro e mezzo per un altro metro e mezzo, dove ci si sente oppressi, compressi e tormentati da un senso di asfissia. Condizione, questa, sperimentata direttamente da Caselli, per essersi fatto rinchiudere, nel corso della ricognizione, per alcuni minuti. Ha presentato, in seguito, i dinamismi legati al processo presso la Corte d’Assise di Torino, processo avviato nel 1976 e interrotto sul nascere dal triplice omicidio di Genova, a danno del procuratore generale Francesco Coco e degli uomini della sua scorta. Il processo venne ripreso l’anno dopo, ma subito funestato dall’uccisione di Fulvio Croce, presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino: fatto, questo, che ingenerò uno choc e un clima di paura tali da impedire la formazione della giuria popolare. Impossibile trovare sei cittadini disposti a fare i giurati. Il processo poté ricominciare solo undici mesi più tardi, nel marzo del 1978, per concludersi nel giugno successivo con la condanna degli imputati a congrue pene detentive.

Il dott. Caselli, dopo aver concluso il suo intervento con alcune annotazioni sulla stagione dei pentiti, che cominciò quando i terroristi si sentirono isolati e iniziarono a mettere in dubbio l’efficacia della lotta armata, entrando in crisi psicologica e politica, ha invitato la platea a porre domande. Molti i quesiti proposti, a cui il relatore ha risposto in modo ampio, documentato e con dovizia di particolari.

La conferenza è terminata con una riflessione sul terrorismo internazionale – fenomeno del tutto diverso rispetto a quello indigeno –, i cui sanguinosi e tragici attentati possono considerarsi “pezzi della terza guerra mondiale”, secondo una dolente e amara considerazione di Papa Francesco, ricordato con deferenza e apprezzamento dal Procuratore Caselli.

Michele Girardo – Addetto Stampa Lions Club Cuneo